venezia 13 febbraio 2011

venezia 13 febbraio 2011
VENEZIA 13 FEBBRAIO 2011 - (manifesto - su idea di Chiara Mangiarotti, realizzazione di Giulia Pitacco)

mercoledì 16 settembre 2015

MARCIA DELLE DONNE E DEGLI UOMINI SCALZI











 APPELLO: 
 È arri­vato il momento di deci­dere da che parte stare.
È vero che non ci sono solu­zioni sem­plici e che ogni cosa in que­sto mondo è sem­pre più com­plessa.
Ma per affron­tare i cam­bia­menti epo­cali della sto­ria è neces­sa­rio avere una posi­zione, sapere quali sono le prio­rità per poter pren­dere delle scelte.

Noi stiamo dalla parte degli uomini scalzi.
Di chi ha biso­gno di met­tere il pro­prio corpo in peri­colo per poter spe­rare di vivere o di soprav­vi­vere.
E’ dif­fi­cile poterlo capire se non hai mai dovuto viverlo.

Ma la migra­zione asso­luta richiede esat­ta­mente que­sto: spo­gliarsi com­ple­ta­mente della pro­pria iden­tità per poter spe­rare di tro­varne un’altra. Abban­do­nare tutto, met­tere il pro­prio corpo e quello dei tuoi figli den­tro ad una barca, ad un tir, ad un tun­nel e spe­rare che arrivi inte­gro al di là, in un ignoto che ti respinge, ma di cui tu hai biso­gno.
Sono que­sti gli uomini scalzi del 21°secolo e noi stiamo con loro.

Le loro ragioni pos­sono essere coperte da decine di infa­mie, paure, minacce, ma è inci­vile e disu­mano non ascol­tarle.
La Mar­cia degli Uomini Scalzi parte da que­ste ragioni e ini­zia un lungo cam­mino di civiltà.

E’ l’inizio di un per­corso di cam­bia­mento che chiede a tutti gli uomini e le donne del mondo glo­bale di capire che non è in alcun modo accet­ta­bile fer­mare e respin­gere chi è vit­tima di ingiu­sti­zie mili­tari, reli­giose o eco­no­mi­che che siano. Non è pen­sa­bile fer­mare chi scappa dalle ingiu­sti­zie, al con­tra­rio aiu­tarli signi­fica lot­tare con­tro quelle ingiu­sti­zie.
Dare asilo a chi scappa dalle guerre, signi­fica ripu­diare la guerra e costruire la pace.

Dare rifu­gio a chi scappa dalle discri­mi­na­zioni reli­giose, etni­che o di genere, signi­fica lot­tare per i diritti e le libertà di tutte e tutti.
Dare acco­glienza a chi fugge dalla povertà, signi­fica non accet­tare le sem­pre cre­scenti disu­gua­glianze eco­no­mi­che e pro­muo­vere una mag­giore redi­stri­bu­zione delle ricchezze. 

Venerdì 11 set­tem­bre lan­ciamo da Vene­zia la Mar­cia delle Donne e degli Uomini Scalzi.
In cen­ti­naia cam­mi­ne­remo scalzi fino al cuore della Mostra Inter­na­zio­nale di Arte Cinematografica.
Ma invi­tiamo tutti ad orga­niz­zarne in altre città d’Italia e d’Europa.
Per chie­dere con forza i primi tre neces­sari cam­bia­menti delle poli­ti­che migra­to­rie euro­pee e globali:

1. cer­tezza di cor­ri­doi uma­ni­tari sicuri per vit­time di guerre, cata­strofi e dit­ta­ture
2. acco­glienza degna e rispet­tosa per tutti
3. chiu­sura e sman­tel­la­mento di tutti i luo­ghi di con­cen­tra­zione e deten­zione dei migranti
4. Creare un vero sistema unico di asilo in Europa supe­rando il rego­la­mento di Dublino
Per­ché la sto­ria appar­tenga alle donne e agli uomini scalzi e al nostro cam­mi­nare insieme.

Primi fir­ma­tari
Lucia Annun­ziata, Don Vini­cio Alba­nesi, Gian­franco Bet­tin, Marco Bel­loc­chio, Don Albino Biz­zotto, Elio Ger­mano, Gad Ler­ner, Giu­lio Mar­con, Vale­rio Mastan­drea, Gra­zia Naletto, Giusi Nico­lini, Marco Pao­lini, Costanza Qua­tri­glio, Norma Ran­geri, Roberto Saviano, Andrea Segre, Toni Ser­villo, Ser­gio Staino, Jasmine Trinca, Daniele Vicari, Don Armando Zappolini

Per ade­sioni: donneuominiscalzi@​gmail.​com
Appun­ta­mento per la mani­fe­sta­zione di Vene­zia
11 set­tem­bre, ore 17.00, Piazza Santa Maria Eli­sa­betta al Lido di Venezia

 Di seguito vi riproponiamo un testo scritto da Francesca Comencini il 19 Aprile, giorno dell’immane tragedia avvenuta nel Mediterraneo.
  
Mi è capitato di essere felice, in questa giornata. Di godere delle cose della vita, della mia vita di donna non più giovane che ha imparato ad accontentarsi e cerca di non giudicare, che si è addolcita e non sogna ogni minuto di cambiare il mondo. Sono stata felice di avere amici, di stare stesa su un prato, di guardare le margheritine, di bere un bicchiere di vino, di sentire il venticello sulla faccia, di essere accolta dal sorriso di mia figlia.
Sì, con gli anni il tempo rimasto si riduce e questo suo scorciarsi illumina di più intensa meraviglia ogni piccola cosa e dunque anche oggi, in questa domenica di aprile, mi è capitato di essere felice. Sapevo, avevo avuto la notizia, eppure lo stesso ho continuato la mia giornata e mi ha persino colto la felicità. Una felicità piccola quanto smisurata, così incongrua di fronte alla notizia di settecento, forse novecento persone, donne, uomini, bambini, morti annegati nel canale di Sicilia. 
Ora che è notte, che sono sola, mi assale l’idea del terrore, dell’acqua che entra nei polmoni, immagino la mano di tuo figlio che ti sfugge, il silenzio, lo stordimento. Il tuo bambino e la tua bambina stanno morendo accanto a te e tu stai morendo con loro. C’è il suono delle bollicine dei loro fiati sott’acqua poi uno squillo acutissimo poi i timpani scoppiano tu non sai nuotare, neanche loro. L’acqua, tutta quell’acqua, fredda, improvvisa, salata, ti chiude la bocca, ti riempie i polmoni, ti soffoca, ti gela, ti stordisce. Immagino, questo solo posso fare, non so quanto ci si metta a morire annegati. Posso solo immaginare, in base alle sensazioni che conosco, tratte da una delle cose che mi rende più felice al mondo, nuotare nel mare. Che distorsione di ogni felicità: un prisma deformante ha reso quel mare in cui ho nuotato ogni anno da quando sono nata un luogo di orrore: il mare, il meraviglioso mare Mediterraneo ormai è fossa comune, sangue nero che circola nelle vene del continente, dalla Sicilia al Capo Nord e lo irrora tutto di veleno e di vergogna.

Ora che è notte cerco di trovare un modo di pensare a loro che in quel mare sono morti, di pensarci davvero e non in modo irreale, e l’unico modo che trovo è questo, da madre. Pensare alle mie creature, a come le ho viste nascere e succhiare, accigliarsi e sorridere, cantare e sospirare, a quella prepotente e complicatissima forma che è la vita umana e che io so cos’è perché da me sono nate tre creature e io lo so, cos’è, la vita, loro spingevano nella pancia e all’improvviso ho visto per la prima volta la loro faccia sorgere dalle acque del cosmo, singolare, unica, irripetibile, così complicata eppure offerta nuda di getto ai miei occhi, misteriosa e infinita, e io lo so, cazzo, lo so, lo so cos’è la vita umana e allora pensandoci così mi dico che è lì in quelle acque mie materne che posso forse far stare loro che sono morti nelle acque del nostro mare e che non hanno un nome, non una faccia, non una storia che io possa conoscere davvero, solo le generiche e talvolta orribili parole dei giornali, devo attaccarmi a questo, alle acque del mio corpo per riuscire anche solo a immaginare loro che sono morti e per trovare un pianto, una parola, un silenzio, un vomito, un singhiozzo, una preghiera, per riuscire a chiedere perdono a loro e a chi li amava, per trovare la forza di incazzarmi ancora, di nuovo, ché anche se il tempo rimasto non è molto, se sono vecchia e ho dovuto imparare a essere docile, affanculo, questo mondo va cambiato e chi ci ha fatto credere che non era così si sbagliava di grosso, perché ora, mentre scrivo, in fondo al mare quei bambini, quelle donne e quegli uomini se li stanno mangiando gli squali, e se anche noi ci crediamo assolti, siamo lo stesso coinvolti.”

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